Diventa amico di Felice

Diventa amico di Felice su facebook
Il tesoro di Santa Paola

Precisazioni

Da un intervista rilasciata al settimanale Tiempo
(05 luglio 1999)

Una serie di precisazioni e di rettifiche provenute dal signor Felice Cultrera su quanto da noi precedentemente pubblicato in occasione dell’uscita del suo libro di poesie intitolato “Contrabbando di luce” ci ha indotto a svolgere una indagine più approfondita sulle vicende che lo riguardano. Era doveroso ed è giusto che se ne rendano pubblici i risultati. Di lui abbiamo erroneamente scritto che è un imprenditore, un uomo spregiudicato che possiede case da gioco e che traffica in pietre preziose. Tanto per cominciare Felice Cultrera non ha mai posseduto case da gioco o trafficato in pietre preziose. Ma è soprattutto del presunto quanto inesistente traffico d’armi che dobbiamo parlare, per ristabilire la verità che emerge dando uno sguardo alle risultanze giudiziarie. I fatti che originano questo malizioso equivoco, nel quale qualcuno indugia con colpevole insistenza, risalgono a diversi anni fa, allorché Felice Cultrera fece conoscere l’avvocato Filippo Battaglia, che rappresentava due note industrie italiane, l’Augusta s.p.a e la Meccanica Bresciana s.p.a al colonnello Ziati, all’epoca capo di Stato Maggiore delle forze armate marocchine.

L’intenzione del Battaglia era quella di instaurare trattative per la vendita di parti di ricambio di navi, comprate anni prima, in Italia dallo Stato del Marocco e bisognose di manutenzione. Un affare del tutto legale e utile per l’economia  nazionale italiana, avviato entro due governi legittimi e non oscurati da nessun embargo. Per Cultrera, però, non si trattò di una mediazione, ma di una semplice presentazione priva di risvolti e interessi economici. Fin d’allora, infatti, Cultrera era una persona apprezzata nel settore immobiliare di Marbella e per la sua collezione d’arte antica. Questa presentazione doveva essere soltanto un atto di pubbliche relazioni che poteva avere dei risultati in termini di prestigio. Iniziò così, attraverso questo suo interessamento, una legittima, rituale e trasparente corrispondenza fra le imprese italiane e lo Stato Maggiore del Marocco, nella quale Cultrera non entrò mai in senso commerciale e che comunque non si trasformò in una vera trattativa perché il Marocco non aveva i fondi necessari per l’acquisto. Nulla di fatto, dunque. Nessuna trattativa e soprattutto nessuna vendita. Tutto si risolse per Cultrera, con una presentazione priva di effetti commerciali, e per le industrie italiane con un  tentativo andato a vuoto. Ebbene per tutto ciò, Felice Cultrera venne addirittura arrestato e immediatamente rilasciato.

Attorno a questo episodio, ancora non si sa perché, ma forse lo si sa – è stato costruito un castello di calunnie, di sospetti, di errate deduzioni, di fatti mai accaduti e di frequentazioni mai avvenute. Cultrera ci spiega: È incredibile quello che ho dovuto patire a causa della incapacità investigativa di cinici inquirenti che invece di indagare su chi e per come mi abbia bollato da decenni come riciclatore, narcotrafficante ed esponente della mafia sulla Costa del Sol, ha voluto distruggere criminalmente la mia immagine fornendo puntualmente ai mezzi di informazione spagnoli notizie false e denigratorie, che io ho sempre denunciato senza tuttavia poterle arginare. Attraverso questa sciagurata strategia, riferisce Cultrera, è probabile che si vogliano colpire persone più importanti alle quali nuocerebbe l’attribuzione di una amicizia con una persona bollata come “mafiosa.” Una menzogna alimentata strumentalmente da qualcuno che vuole danneggiare eventuali avversari politici.

Cultrera, d’altronde, specifica di non avere alcun precedente penale, di non essere mai stato (prima d’allora) colpito da mandati di cattura, di non aver commesso alcun reato, di avere sempre disposto del suo regolare passaporto. Ma i suoi esposti(si è rivolto anche al Presidente della Repubblica, nessuno gli ha mai risposto ad eccezione del Tribunale di Strasburgo,) nei quali ha sempre chiesto di essere rivoltato come un calzino per appurare finalmente la verità- non sono serviti a niente. Mi denigrano e mi accusano – dice Cultrera – ma se è vero che sono un capo mafia  o un trafficante perché non mi arrestano? Un capo di accusa così grave come il traffico d’armi, l’associazione mafiosa e gli altri reati di cui ogni tanto si parla, sono perseguibili dalla legge e meritano una punizione giudiziaria. Ma a quale legge risponde il linciaggio morale attraverso i giornali? L’assurda storia della appartenenza mafiosa nasce nel 1993, a seguito di una informativa, rivelatasi poi infondata, che l’Interpol italiana invia a quella spagnola, comunicandole che Cultrera sarebbe un mafioso inserito nell’organigramma del clan Santapaola.

Cultrera, il cui cognome somiglia troppo a quello di Pasquale “Cuntrera” ( un vero mafioso arrestato l’anno scorso dopo lunghe ricerche a una ventina di chilometri da Marbella) reagisce prontamente citando il Ministero degli Interni italiano e invitandolo a riferire in un’aula di giustizia spiegando come questa informativa fosse potuta “entrare” nel Centro Elaborazioni Dati (CED) del ministero. Per ben quattro volte la convocazione del direttore del CED del Ministero degli Interni davanti al  tribunale viene disertata. Finalmente il 29 Aprile del 1995,  l’udienza si svolge presso il tribunale di Roma , 7 sezione penale presieduta dal giudice Giovanni Muscarà e composta dai giudici Giacomo Paoloni e Giovanni Masi. In questa sede il CED(Centro Elaborazioni Dati del Ministero degli Interni) presenta una comunicazione ufficiale, inviata anche alla questura di Catania, nella quale si specifica che c’è  stato un equivoco e che la pregiudizievole nota informativa dell’Interpol con l’accusa di connivenza mafiosa nei confronti di Felice Cultrera è stata cancellata.

Malgrado ciò la Procura di Catania nel suo assurdo mandato propalava ai mezzi di comunicazione  la sua infondata appartenenza al clan Santapaola. Sarebbe bastato averlo convocato per poter chiarire quei punti ritenuti oscuri dell’assurdo teorema fatto alle sue spalle, senza alcuna possibilità di difesa oppure di aver dato obbedienza al prescrittivo disposto dell’articolo 358 C.P.P. ( ricerca e controllo degli elementi di prova a favore dell’indagato) perché questo calvario non fosse stato, da lui, mai vissuto. Riteniamo questa nostra lettera un “atto dovuto” in difesa della verità impunemente calpestata dai suoi infaticabili accusatori che hanno preferito accanirsi per il conseguimento della sua distruzione umana e sociale in nome di una giustizia spettacolo grazie alla quale eco, dopo tanti anni, viene ancora infangato con calunnie senza senso da un procuratore capo del Tribunale spagnolo sr Villarejo che basandosi sull’assurda e non veritiera informazione, nei suoi confronti, data dalla polizia italiana e poi cancellata dal CED si è abbandonato in un delirio di scellerate accuse da fare “arrossire” l’inaccettabile quanto incivile cultura del sospetto. Tutto ciò in nome di una crociata politico diffamatoria nei confronti del sindaco di Marbella  Jesus Gil con il quale mai ha avuto rapporti d’affari né mai ha appoggiato in nessuna campagna elettorale ma che il discutibile procuratore afferma, del contrario (proiettando inquietanti ombre di mafia) su tutti i giornali spagnoli approfittando delle obsolete, imprecise, infondate e cancellate informazioni partorite, anni or sono, da fantasiosi investigatori più bravi a scambiare “fischi per fiaschi” che fare il loro dovere nell’accertamento della verità.

Pages: 1 2 3 4 5 6